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Il nuovo reato di “stupro virtuale”

Questo articolo prende spunto da una triste vicenda che ha visto coinvolta una giovane ragazza la quale, per la vergogna e l’umiliazione provata nel vedere diffusi su internet e sui vari canali social dei filmati hard che la riguardavano, si tolse la vita.

Un fenomeno che si sta diffondendo a macchia d’olio proprio perché vi è un uso del web, da parte, soprattutto, di ragazzi in giovane età ma anche da parte di persone adulte, smisurato, come se fosse una “vetrina” virtuale dove poter esibire sé stessi e dimostrare agli altri le proprie capacità ed abilità nel tentativo di sedurre più “pubblico” possibile ed ottenere quel successo o quella visibilità che probabilmente in altri campi non si otterrebbe.

Si è voluto, pertanto, a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, che vede maggiormente interessate le donne, introdurre nuove fattispecie di reato in quanto negli ultimi anni il fenomeno è risultato in forte crescita tale da rappresentare ed essere vissuto come allarme sociale.

Questo nuovo reato segue tutta una serie di reati considerati riprovevoli come la violenza sessuale, atti persecutori e maltrattamenti in famiglia ed è caratterizzato da una specifica condotta da parte del responsabile ossia quella di utilizzare in modo distorto fotografie o video di esplicito contenuto sessuale o compromettenti attraverso l’immissione nel web in modo che siano visibili ad un numero indefinito di persone e di facile diffusione.

E’ facile comprendere l’effetto che si otterrebbe nei confronti della vittima che ovviamente ne era ignara o comunque decisamente contraria a qualsiasi forma di diffusione in web e quindi subirebbe una grave violenza psicologica ed abusante della propria persona al punto che il reato è stato definito anche in altro modo come “vendetta porno” o usando la locuzione inglese “revenge porn”.

Nonostante l’evoluzione culturale che il web permetterebbe ampliando le conoscenze del singolo individuo ed il progresso della società nei vari settori in cui la collettività ritiene riconoscersi, permane, purtroppo, in modo ancora solido, quella radice patriarcale che potrebbe essere definita la generatrice principale delle forme di violenza di cui si tratta.

Il legislatore ha voluto inquadrare il nuovo reato nella sezione dei delitti contro la libertà morale della persona, che rientra tra i beni tutelati dalla costituzione all’articolo 13, dando una continuità ideologica al delitto che lo precede, ossia quello relativo agli atti persecutori conosciuto con il nome di stalking disciplinato all’art. 612 bis cp; si può ritenere che entrambe le figure si rivolgano in particolare modo alle donne, in quanto spesso sono vittime di comportamenti che incidono sulla loro libertà psichica che verrebbe coartata attraverso atti ed intimazioni di vario genere.

Il reato de quo si consuma quando l’agente invia, consegna, cede, pubblica o diffonde video o immagini a sfondo sessuale, senza che vi sia il consenso di coloro che ivi sono rappresentati, quindi, l’oggetto della condotta sono i video e le immagini a contenuto sessualmente esplicito rispetto ai quali la vittima o non è a conoscenza oppure espressamente ne ha negato il consenso.

Ed è proprio in ordine al consenso della vittima che potrebbero emergere delle difficoltà interpretative e che saranno decise e chiarite inizialmente dal giudice di merito, il quale, seguendo l’ormai consolidata giurisprudenza, considererà il consenso frutto di una volontà libera, attuale, manifesta e proveniente da un soggetto capace d‘intendere e volere.

L’attenzione che si dovrà prestare ruota proprio intorno all’elemento del consenso della vittima perché’ qualora questo non fosse chiaro nell’opporsi alla condotta dell’agente potrebbe eliminarne il carattere antigiuridico fornendo, pertanto, una facile giustificazione alla stessa prevista dall’art. 50 del codice penale; si richiama ad esempio il reato di violenza sessuale che si caratterizza proprio per la mancanza del consenso da parte della vittima della violenza.

La fattispecie trattata è disciplinata dal primo comma dell’art. 612 ter e prevede come pena la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro; l’articolo prevede ulteriori 4 commi ponendo diverse caratteristiche oggettive e soggettive per gli autori delle condotte.

L’augurio comunque auspicabile è quello che dinanzi alla maggiore crescente fragilità e smarrimento degli uomini a cui di contro emerge una maggiore capacità della donna di mantenersi autonomamente e riuscire a fare da sola, la reazione violenta ormai sempre più diffusa possa trovare un freno non solo nella punizione delle condotte antigiuridiche ma anche attraverso una rinascita morale dell’essere umano.

Si vuole concludere l’argomento con un ammonimento rivolto in modo particolare agli adolescenti ossia quello di non sottovalutare o di non affrontare con leggerezza e superficialità il “mondo” virtuale che nasconde e maschera continui tranelli e facili illusioni.

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