Lo ius soli, letteralmente “diritto del suolo” dal latino, indica l’acquisizione della cittadinanza di uno stato in seguito al fatto giuridico di essere nati su quel suolo. Molti paesi al mondo, esclusa l’intera Europa, riconoscono tale diritto senza condizioni, tra cui gli Stati Uniti, l’Argentina e il Canada. In particolare, negli Stati Uniti è il risultato del XIV emendamento che fu emanato nel luglio 1868 con lo scopo di garantire i diritti degli ex schiavi. Altri paesi, invece, come la Francia, la Germania e il Regno Unito, concedono lo ius soli con alcune restrizioni.
L’Italia è uno tra quelli che ha le leggi sulla cittadinanza più restrittive in Europa. Qui, vige un altro principio fondamentale con cui viene attribuita la cittadinanza, lo ius sanguinis, letteralmente “legge del sangue” dal latino, ed indica l’acquisizione della cittadinanza per la nascita da almeno un genitore con cittadinanza italiana. Dunque, chi nasce in Italia da genitori stranieri non è italiano agli occhi della legge.
Nel 1997 venne firmata la Convenzione europea sulla nazionalità, la quale obbliga gli Stati contraenti a rendere più accessibile l’acquisizione della cittadinanza, anche in favore delle persone nate nel proprio territorio. Ad oggi, misure adottate in questo senso sono riscontrabili in 20 dei 29 stati firmatari, ma non in Italia.
La cittadinanza italiana è regolata dalla legge n. 91 del 1992, ad oggi molto discussa con l’intento di aggiornarla, in quanto si tratta di una riforma restrittiva. La normativa riconosce l’automatica acquisizione della cittadinanza italiana, in base allo ius sanguinis, per chi è nato in territorio italiano se ambo i genitori sono ignoti o apolidi, o se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori, altresì per chi è figlio adottivo di un cittadino. Infine, per acquisto e riacquisto da parte dei genitori nel caso in cui il figlio sia minorenne.
Inoltre, garantisce la possibilità di richiedere la cittadinanza italiana in diversi casi. In primo luogo, questa è garantita a un nato in Italia da genitori stranieri, al compimento dei 18 anni di età avendo risieduto in Italia legalmente ed ininterrottamente fino a tale momento, ma può essere richiesta solo entro un anno a decorrere da quest’ultimo. Gli immigrati, invece, devono aspettare dieci anni prima di poter effettuare la domanda.
Un altro modo è tramite il matrimonio o unione civile, ma solamente se la persona interessata risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero.
Questi sono i casi più frequenti, ma per i richiedenti che sono in grado di soddisfare questi requisiti il processo di naturalizzazione non risulta molto agevole. A volte dimostrare la residenza continuativa è complicato, ad esempio nel caso in cui genitori dei bambini non registrino la residenza alla nascita. Inoltre, i tempi di concessione variano notevolmente da regione a regione e possono ricoprire un arco di tempo molto ampio.
Chi nasce in Italia non è italiano agli occhi della legge, anche se segue il nostro stesso percorso di studi, parla la nostra lingua, si veste come noi, ha le nostre usanze e le nostre abitudini. Ovviamente, le polemiche sono state molteplici, soprattutto da parte di coloro che vivono in questo paese da anni e si sentono parte integrante. Non si tratta di immigrati, ma di persone nate qui e che, di conseguenza, non dovrebbero essere integrate ma incluse nella popolazione. Al giorno d’oggi, gli italiani senza cittadinanza sono circa un milione e a loro sono negati numerosi diritti. A partire dal diritto di viaggiare, fino ad arrivare alla partecipazione ai concorsi pubblici, al diritto di voto. Inoltre, vi è la possibilità di espulsione in un paese d’origine.
La situazione sembrò essere in procinto di cambiare nel 2015, quando fu approvata alla camera una riforma della legge sulla cittadinanza. Le novità riguardavano l’introduzione dello ius soli temperato e dello ius culturae. Con il primo termine, ci si riferisce ad una variazione dello ius soli, secondo tale normativa la cittadinanza di uno stato si acquisisce se si è nati sul territorio di quello
stesso stato e se almeno uno dei genitori vi è residente, in forma legale, da un numero di anni variabile. Lo ius culturae, invece, è un diritto legato all’istruzione, prevedeva che i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, dopo aver frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico, potessero richiedere la cittadinanza. Anche i ragazzi nati all’estero, ma arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni potevano ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico. La proposta, però, non venne mai approvata dal senato. Sarebbe stato un passo avanti sicuramente, nonostante anche in quel caso vigesse un’idea ancora errata, quella che la cittadinanza debba essere guadagnata, quasi alla stregua di un premio.
Ancora oggi la questione è molto dibattuta, c’è addirittura chi si schiera fortemente contro lo ius soli, affermando che non bisognerebbe “regalare la cittadinanza italiana”, quando, in realtà, si tratta di un diritto che, in quanto tale, dovrebbe essere garantito. Principale sostenitore è il Partito Democratico, mentre sono contrari Forza Italia e Lega. Il Movimento 5 Stelle ha deciso di astenersi. C’è chi ritiene che garantire la cittadinanza a chi ha una religione o un’idea diversa di famiglia da quella italiana, delle credenze e dei valori non compatibili alle nostre, non sia giusto. Il filosofo Diego Fusaro: “Quanti più diritti si estendono ai non-cittadini, tanto più la categoria di cittadinanza smarrisce il suo valore e si dissolve”. In ogni caso, analizzando i pro e i contro di concedere questo diritto, notiamo la possibilità per l’Italia di una crescita demografica e di prendere maggiormente parte alla globalizzazione. D’altra parte, c’è il rischio che aumenti il fenomeno dell’immigrazione e delle discriminazioni.
Inoltre, le differenze tra chi ha la cittadinanza italiana e chi non la ha sono tantissime e ostacolano la vita di milioni di ragazzi, a partire da quelle che sembrano essere le cose più banali, a cui è più facile rinunciare, come un’esperienza di studio all’estero per più di dodici mesi, fino ad arrivare a situazioni più gravi. Numerosi sono i casi di giovani che vivono in Italia da anni ma che non hanno potuto ottenere borse di studio, colloqui di lavoro. Ihsane Ait yahia è una ragazza intervistata nel 2021 da Vanity Fair: «Pago le tasse, investo nel Paese, ma non sono rappresentata e non posso nemmeno rappresentarmi da sola. Sono un fantasma, anzi siamo un milione e mezzo di fantasmi». La ragazza, infatti, ha 30 anni e vive in Italia dall’età di 6 ma ancora non è considerata italiana.
Per smuovere la situazione vengono portate avanti battaglie su numerosi fronti, a partire dai movimenti antirazzisti, anche attraverso la letteratura, l’arte, la musica. L’Italia, come ogni altro paese, è in continua evoluzione, e deve stare ai passi con i tempi.